Il canone concordato può rappresentare un’opportunità per coloro che vogliono tornare ad investire nel mattone sfruttandone la locazione?
La risposta è affermativa. Infatti il risparmio che si ottiene sia sul calcolo dell’Imu che su quello della base imponibile per la dichiarazione dei redditi, sfruttando questa possibilità in alternativa alla cedolare secca, può effettivamente alleggerire i costi che devono sostenere coloro che vogliono investire in una seconda o terza casa. Il 16 gennaio 2017 sono state introdotte delle nuove regole per il canone concordato, che non hanno stravolto l’impianto normativo originario, ma che hanno ugualmente introdotto delle importanti novità.
Prima di entrare nel merito di queste novità è necessario fare una premessa. Già in fase di valutazione della convenienza se effettuare o meno l’investimento, bisogna considerare i pro ed i contro nel richiedere un mutuo. Infatti nel calcolo va conteggiato anche il peso degli interessi passivi che non beneficeranno della detrazione del 19% (non trattandosi di prima casa). Quest’aspetto può incidere anche in modo piuttosto oneroso, logicamente se il canone di affitto non è adeguato sia a coprire la rata del mutuo che i costi rappresentati da imposte e tasse che il proprietario deve comunque pagare.
Oltre a quanto appena detto un ulteriore aspetto da valutare è quello del luogo in cui eventualmente comprare una casa da utilizzare poi con il canone concordato. Oggi c’è sicuramente più libertà di scelta, dal momento che dal 16 gennaio 2017 in poi non si ha più l’obbligo di fare l’acquisto in comuni ad alta densità abitativa. Fino a tale data solo comuni con questi requisiti, come ad esempio Roma, Milano, Napoli, ecc potevano sfruttare il canone concordato.
Nonostante questa limitazione si stata completamente tolta la scelta di dove investire va fatta comunque con grandissima attenzione. Infatti città come Milano e Roma offrono un ottimo mercato degli affitti, il che potrà rendere la casa che si acquista più appetibile (e a bassissimo rischio di restare sfitta per lunghi periodi). Invece nei comuni con scarso interesse all’affitto (magari perché gli immobili costano poco e le persone hanno più facilità ad acquistarli direttamente) ci possono volere tempi lunghi per recuperare i costi inizialmente pagati dall’acquirente.
I vantaggi fiscali coinvolgono sia i proprietari che gli inquilini. In particolare per i proprietari incontriamo due possibili benefit legati al canone concordato:
N.b. Ricordiamo che se in alternativa si dovesse scegliere la cedolare secca si ha solo la certezza dell’ammontare dell’aliquota Irpef ridotta al 10%.
Come altri vantaggi sempre per i proprietari troviamo la possibile ‘decuratazione’ dell’Imu che può essere ridotta fino ad un minimo del 4 per mille al posto del 7,6 per mille ‘standard’ (che può, tra l’altro, essere aumentato a discrezione dei comuni fino al 10,6 per mille). Attenzione: ad oggi (24/01/2018) questa scelta però è rimasta a discrezione delle giunte comunali con possibili modifiche di anno in anno.
Come accennato con il canone concordato ci sono vantaggi anche per gli inquilini sia di tipo fiscale che economico. Quest’ultimo è intuitivo in quanto il canone concordato deve essere un canone “calmierato” e quindi inferiore a quelli normalmente applicati (per zona e tipologia di casa che viene data in locazione). Per calmierato si intende inferiore ad un importo massimo che non è liberamente stabilito dalle parti coinvolte o esclusivamente dai comuni. Questo tetto massimo infatti viene fissato da specifici accordi che intercorrono tra le principali organizzazioni o associazioni rappresentative sia degli inquilini che dei proprietari degli immobili.
Il vantaggio fiscale per chi è inquilino di un immobile con canone concordato è invece riferito alla fascia di soggetti con basso reddito. Questi possono usufruire di detrazioni fiscali sulla dichiarazione dei redditi. L’importo di tali detrazioni possono essere pari a:
La durata del canone concordato non è del tipo 4 + 4, ma prevede un regime ridotto che arriva a 3 + 2 anni (se si stabilisce preventivamente un accordo condiviso il contratto potrà avere allora durata di 3 più altri tre anni). Tuttavia non si può utilizzare il canone concordato per contratti di durata inferiore a 18 mesi, ovvero quelli classificati di durata breve. La stessa durata si potrà applicare per i contratti di locazione di natura transitoria, ma questa possibilità è aperta solo nei comuni con un numero di abitanti che sia almeno pari a 10 mila.
Il calcolo non può prescindere dalla propria situazione reddituale e patrimoniale, soprattutto per quanto riguarda le imposte pagate complessivamente sulla dichiarazione dei redditi. Quindi con l’aiuto di un buon commercialista o professionista che offre assistenza fiscale bisogna valutare il vantaggio che si potrà ottenere rispetto all’eventuale scelta della cedolare secca.